28 gennaio 2012 -
E’ davvero difficile credere che sia successo. E’ stato come
ricevere un violento schiaffo in faccia. Eppure le cose stanno
così. Barack Obama ha detto in sostanza a tutti noi cattolici:
‘To Hell with you’– ‘Andate all’inferno’. Non so in quale
altro modo spiegare la sua assurda decisione”.
Parole del vescovo di Pittsburgh, David Zubik, poche ore fa,
molto simili per livore e acredine a quelle pronunciate da
Joseph McFadden, vescovo nella piccola Harrisburg, vicino a
Philadelphia: “Mai prima d’ora il governo aveva costretto i
cattolici e tutte le organizzazioni religiose a comprare a
scatola chiusa un prodotto che viola pesantemente la loro
coscienza. Certe cose non dovrebbero accadere in una terra
come la nostra dove la libera espressione del proprio credo
sta al primo posto nel Bill of Rights”. Zubik e McFadden sono
due vescovi combattivi. Le loro dichiarazioni, rilanciate da
tutti i giornali americani, manifestano un sentimento in
queste ore radicato nelle profondità della pancia del
cattolicesimo statunitense, senza alcuna eccezione. Il
leitmotiv è uno: “Obama ci ha tradito”.
La protesta è divampata nelle scorse ore e il motivo è
semplice: il governo, tramite il segretario per la Salute e i
servizi umani, Kathleen Sebelius, ha fatto sapere che a
partire dall’agosto del 2013 anche le chiese e le associazioni
religiose saranno costrette a offrire ai propri dipendenti
un’assicurazione sanitaria che contempli i rimborsi per la
contraccezione e l’aborto. La direttiva, ha detto Sebelius,
“bilancia la libertà religiosa e l’aumento dell’accesso ai
servizi di prevenzione”.
Inizialmente i vescovi americani hanno temporeggiato. Prima di
prendere qualsiasi iniziativa, infatti, dovevano aspettare
l’esito di un’udienza particolare, quella che giovedì scorso
Benedetto XVI ha concesso a un gruppo scelto di vescovi degli
Stati Uniti, tra i quali l’arcivescovo di Washington, il
cardinale Donald W. Wuerl.
Prima dell’incontro al Papa è stato fatto arrivare un
dettagliato dossier relativo alla situazione americana, le
parole di Sebelius allegate in calce al documento. Ratzinger
ha preso visione d’ogni dettaglio e poi, di suo pugno, ha
redatto il testo del discorso pronunciato ai vescovi. “E’ come
se il Papa parlando ai vescovi di Washington”, dice Sandro
Magister, “abbia voluto parlare anche all’Amministrazione
americana”.
E, in effetti, il suo cenno all’impedimento dell’obiezione di
coscienza “per quanto riguarda la cooperazione a pratiche
intrinsecamente cattive” ad altro non sembra alludere se non
alla fatidica decisione di Barack Obama, quella che fa obbligo
a qualsiasi organizzazione, anche cattolica, di pagare per i
propri dipendenti l’assicurazione sanitaria comprensiva di
contraccezione e aborto. Le parole del Papa, per i vescovi
americani, sono state inequivocabili: “Tornate nel vostro
paese e fatevi sentire”, ha sostanzialmente voluto dire loro
Benedetto XVI.
E così è stato. E così, ancora in queste ore, continua a
essere. Si tratta di “una gravissima offesa alla libertà
religiosa” ha scritto in una nota ufficiale la Conferenza
episcopale degli Stati Uniti. Parole rilanciate – è questa la
caratteristica più significativa della protesta – anche dai
mondi più liberal del cattolicesimo americano.
Tra questi c’è anche la rivista progressista e “obamiana”
National Catholic Reporter nella quale scrive la stella del
vaticanismo americano John Allen, e cioè colui che, quando nel
luglio del 2009 Obama andò in Vaticano a incontrare il Papa,
parlò con soddisfazione della calda accoglienza concessa da
Ratzinger al presidente “che gli europei etichettano come pro
choice”.
Oggi il vento è cambiato. Oggi anche per il National Catholic
Reporter Obama non è più affidabile. Cosa dice a noi cattolici
la decisione annunciata da Sebelius? “Dice che per noi
credenti non c’è più spazio in questo grande paese” ha scritto
lapidario sulla rivista Michael Sean Winters, docente di
Storia della chiesa alla Catholic University of America e
autore di “Sinistra all’altare: come i democratici hanno perso
i cattolici e come i cattolici possono salvare i democratici”.
Dice: “Sono arrivato a questa amara conclusione nonostante io
sia un liberale e un democratico, uno che fino a ieri ha
sostenuto il presidente, uno il cui cuore si è scaldato quando
ha ascoltato Obama dire all’Università di Notre Dame:
‘Dobbiamo trovare un modo per riconciliare il nostro mondo
sempre più piccolo con la sua sempre crescente diversità,
diversità di pensiero, diversità di cultura, e diversità di
fede. Dobbiamo trovare un modo per vivere insieme come una
sola famiglia umana’. Ora io non posso fare altro che
accusarla, signor presidente, di aver tradito quel liberalismo
filosofico che ha avuto inizio come difesa dei diritti della
coscienza. Beninteso: come cattolici, dobbiamo essere onesti e
ammettere che, trecento anni fa, la difesa della libertà di
coscienza non era ai primi posti nell’agenda della nostra
chiesa. E’ vero, ma abbiamo imparato ad abbracciare l’idea che
la coercizione della coscienza è una violazione della dignità
umana. Questa è una lezione, signor presidente, che lei e
anche molti dei vostri liberali colleghi hanno disimparato a
quanto pare”.
Cattolici conservatori e cattolici su posizioni più liberal.
Mai come questa volta è del tutto compatto il fronte cattolico
statunitense contro Obama. Timothy Dolan, arcivescovo di New
York, è stato eletto capo della Conferenza episcopale
americana non certo perché è un conservatore. Quando da
Milwaukee venne promosso a New York vi fu addirittura chi
disse che con lui il tempo della chiesa arroccata in difesa
dei principii (e contro la modernità), il tempo insomma del
suo predecessore, il cardinale Edward Michael Egan, era
finito.
Secondo questa vulgata a Dolan mancava la tempra del
condottiero. “Uomo da salotto, uomo del sistema, è celebre una
sua foto mentre gioca a baseball”, dicevano i suoi detrattori.
E ancora: “New York ancora non ha trovato l’erede ideale
dell’indimenticato cardinale Francis Joseph Spellman,
arcivescovo dal ’39 al ’67”. Eppure è lui in queste ore, lui
che i più non giudicano essere un conservatore, a usare le
parole più dure contro Obama, le stilettate più intransigenti
e decise. “Il presidente ci sta dicendo che abbiamo un anno
per capire come violare le nostre coscienze” ha detto pochi
giorni fa. “Bene, la sua altro non è che una decisione
sconsiderata”. E ancora: “Obama ha disegnato una linea nella
sabbia senza precedenti. La chiesa non starà a guardare, i
vescovi cattolici si impegnano a collaborare con i loro
compatrioti americani per cambiare questa norma ingiusta”.
Il clima è incandescente, soprattutto tenuto conto che la
frizione che oramai pare insanabile si sta consumando in piena
campagna elettorale. Nel mondo cristiano, non più soltanto tra
gli estremisti di destra o in qualche frangia
dell’integralismo tradizionalista, l’“Anticristo” è l’epiteto
che viene maggiormente cucito addosso a Obama. Ritornano, in
queste ore, le accuse che fin dalla campagna elettorale del
2008 l’allora senatore dell’Illinois si sentiva fare: fu il
sito conservatore RedState.com che arrivò a vendere tazze e
t-shirt sulle quali era stampata una grande “O” sovrastata da
due corna demoniache e dalla scritta “L’Anticristo”. Certo, i
vescovi oggi non osano arrivare a tanto, ma poco, davvero
poco, ci manca.
Anche in Vaticano gli occhi di molti sono puntati su Obama.
Dopo l’uscita del Papa di giovedì scorso e un articolo che
riprendeva le parole di Dolan contro Obama pubblicato
sull’Osservatore Romano, l’impressione è che la Santa Sede
cerchi di mantenersi coperta. Anche se, a onor del vero, la
Radio vaticana non è stata a guardare. Ha chiamato a
commentare la vicenda il giurista Carlo Cardia, docente di
Diritto ecclesiastico all’Università Roma Tre, che ha spiegato
come “non soltanto è in gioco la Costituzione americana, ma le
carte internazionali dei diritti dell’uomo che hanno avuto e
hanno, tra i punti essenziali, il rispetto della libertà di
coscienza, che a sua volta, ha una serie di applicazioni.
Tutti noi ricordiamo una delle prime forme dell’obiezione di
coscienza, il servizio militare, quando il valore della difesa
della patria cedeva di fronte all’obiezione di coscienza di
non volere prendere le armi. Questo principio, che ha una
serie di applicazioni, viene ora quasi messo tra parentesi. Si
fa quasi finta che non esista! L’attacco all’obiezione di
coscienza si sta verificando su diversi fronti, e io credo che
questa erosione si va facendo sempre più pesante”.
I rapporti tra Vaticano e Washington sono delicati e finché
non emergerà il nome dello sfidante repubblicano di Obama,
senz’altro il low profile nei rapporti con la Casa Bianca sarà
l’unica parola d’ordine. Basso profilo a Roma, certo, ma
libertà d’espressione negli Stati Uniti. Non a caso, dopo
Dolan è sceso in campo un altro cardinale di peso.
Si tratta del nuovo arcivescovo di Los Angeles, l’ispanico
José Gómez, che ha pubblicamente invocato una levata di scudi
contro una decisione che “viola i principii non negoziabili”.
Gómez è uno dei principali interpreti di quella linea
episcopale chiamata dei “conservatori creativi” (copyright
John Allen) grazie alla quale Benedetto XVI sta rifondando la
maggior parte delle diocesi americane. “A conservative bishop
for Los Angeles”, titolarono i giornali statunitensi quando ad
aprile 2010 monsignor Gómez venne indicato come successore del
cardinale Roger Mahony. Una scelta di discontinuità quella del
messicano Gómez, un uomo in grande ascesa al quale adesso la
Santa Sede lascia libertà di azione contro la decisione
“eticamente inaccettabile”, sono sue parole, di Obama.
Lunedì scorso, nel giorno del 39esimo anniversario della Roe
vs. Wade (la sentenza del 1973 che ha legalizzato l’aborto), i
vescovi hanno chiamato i fedeli in piazza, chiedendo loro di
aderire alla Marcia per la vita. Erano migliaia per le strade,
guidati dal cardinale Daniel DiNardo, arcivescovo di
Galveston-Houston e capo della commissione per le attività pro
vita della Conferenza episcopale statunitense.
Ha scritto in proposito il quotidiano della Conferenza
episcopale italiana Avvenire: “Per il variegato movimento pro
life americano portare in piazza decine di migliaia di persone
da tutto il paese per un happening religioso e politico è il
segnale di un radicamento popolare che oltrepassa il calibro
della manifestazione folkloristica di una minoranza, per
quanto motivata”. E ancora: “La grande marcia di Washington ha
fornito lo spettacolo di un raduno popolare assai più
imponente di quelli mandati in scena dagli ‘indignados’
d’oltreoceano, a Wall Street e altrove, capaci forse di un
appeal mediatico superiore ma certamente non in grado quanto
il popolo per la vita di dar voce all’alfabeto condiviso di
una civiltà”.
La sostanza è una. Il mondo cattolico si è sentito tradito da
un presidente che ancora in questi giorni si è detto impegnato
a “ridurre il numero degli aborti”. Il “bluff”, così lo
chiamano i vescovi, non è stato digerito anche da chi, in
passato, aveva difeso la riforma sanitaria. Su tutti basta il
nome di suor Carol Keehan, presidente di quella Catholic
Health Association che nel 2010 nonostante la richiesta di
prudenza espressa dai vescovi del paese, elogiava gli effetti
del programma sanitario varato dalla Casa Bianca dicendo che
“milioni di americani sono stati aiutati attraverso la
copertura medica della quale avevano bisogno”.
I contatti tra Dolan e la Santa Sede sono costanti. Roma
spinge i vescovi perché cerchino il più possibile di allargare
il fronte del dissenso. Un esempio a cui guardare esiste già,
ed è recente. Fu il 20 novembre 2009 che cattolici,
protestanti e ortodossi degli Stati Uniti si unirono nel
difendere la vita e la famiglia. Avevano dichiaratamente la
Casa Bianca nel mirino. Firmarono un appello pubblico che
venne intitolato “Manhattan Declaration: A Call of Christian
Conscience” – “Dichiarazione di Manhattan. Un appello della
coscienza cristiana” a difesa della vita, del matrimonio,
della libertà religiosa e dell’obiezione di coscienza. La
redazione finale del testo fu affidata al cattolico Robert P.
George, professore di Diritto alla Princeton University, e
agli evangelici Chuck Colson e Timothy George, quest’ultimo
professore della Beeson Divinity School, nella Samford
University di Birmingham in Alabama. Tra gli altri firmatari
figuravano il metropolita Jonah Paffhausen, primate della
chiesa ortodossa in America, l’arciprete Chad Hatfield, del
seminario teologico ortodosso di San Vladimiro, il reverendo
William Owens, presidente della Coalition of African American
Pastors, e due personaggi di spicco della Comunione anglicana:
Robert Wm. Duncan, primate della Anglican Church in North
America, e Peter J. Akinola, primate della Anglican Church in
Nigeria. Obama era impegnatissimo a far passare il piano di
riforma dell’assistenza sanitaria negli Stati Uniti.
Difendendo la vita umana fin dal concepimento e il diritto
all’obiezione di coscienza, l’appello diceva a chiare lettere
che i firmatari non si sarebbero fatti “ridurre al silenzio o
all’acquiescenza o alla violazione delle nostre coscienze da
qualsiasi potere sulla terra, sia esso culturale o politico,
indipendentemente dalle conseguenze su noi stessi”. E ancora:
“Noi daremo a Cesare ciò che è di Cesare, in tutto e con
generosità. Ma in nessuna circostanza noi daremo a Cesare ciò
che è di Dio”. Oggi la promessa è stata mantenuta. Contro
Obama ci sono ancora molti dei firmatari della Manhattan
Declaration. E tanti altri.
E’ ancora Michael Sean Winters a ricordare che stavolta Obama
“ha contro tutti”, anche quelli che in passato l’hanno
sostenuto. Winters non ricorda soltanto il nome di suor Carol
Keehan, ma anche il presidente della Caritas degli Stati
Uniti, padre Larry Snyder, che si è detto “profondamente
deluso”. E poi padre John Jenkins, presidente dell’Università
cattolica di Notre Dame, nell’Indiana. Nel 2009 invitò Obama
per ricevere una laurea honoris causa in Giurisprudenza. I
cattolici insorsero a motivo dell’“ardente e costante appoggio
di Obama a politiche in favore del diritto di aborto”. Jenkins
difese Obama e disse che l’invito rappresentava una
possibilità di dialogo. Ricorda ora Winters a Obama: “Queste
persone hanno cicatrici da mostrare per colpa della loro
disponibilità a lavorare con voi, per averla sostenuta nella
dura lotta politica. Sono tante. Ma le domando: è questo il
modo di trattare persone che sono andate al tappeto per voi?”.
Pubblicato sul Foglio sabato 28 gennaio 2011
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